In ambito marketing, la rivoluzione digitale ha portato con forza crescente il cliente (o potenziale tale) ad essere attore principale nel dialogo continuo con le aziende. Il cliente non si concentra esclusivamente sul prodotto, ma chiede, sempre con maggiore frequenza, comportamenti eticamente corretti alle aziende.

Per fare un esempio concreto, gli amanti della montagna e del fashion per un certo periodo sono parsi maggiormente preoccupati della provenienza e del destino dei poveri pennuti spiumati che non del loro amato outfit.

Le società prestano, quindi, maggiore attenzione a nuove modalità di interazione con il cliente che, sempre più spesso, detta le regole e impone nuovi standard qualitativi. E’ per tale ragione che la cultura e il brand dell’azienda, inteso come anima del prodotto, rappresentano ormai le fondamenta della stessa.

Cultura aziendale dalla quale deve prendere avvio un’esperienza soddisfacente del cliente.  Esperienza che si propaga nella rete a velocità impressionante, con danni di immagine incalcolabili nel caso questa sia negativa. E, poiché i valori dell’azienda si concretizzano in tutte le manifestazioni della stessa nei confronti dei clienti e del mercato, sono poco tollerate le distonie tra brand e cultura aziendale, tra comportamenti dichiarati e agiti. Gli sforzi delle aziende si concentrano quindi sulla definizione della cultura, dei valori e del brand e sulla loro condivisione all’interno e all’esterno dell’azienda.

Ma come si concilia tutto questo con campagne pubblicitarie come quella di Diesel per la collezione primavera/estate 2016 che nelle ultime settimane ha fatto così tanto discutere di sé per aver scelto quale vetrina siti porno e di chat di appuntamento galanti?

Non stiamo quindi parlando di ex pornostar che si dichiarano conoscitori di croccanti patatine o si rendono disponibili a trascorrere qualche settimana su un’isola sperduta in compagnia di Monsignor Milingo. E neppure di spot pubblicitari dai contenuti particolarmente espliciti.

No. In questo caso stiamo parlando di una campagna pubblicitaria ad hoc per siti con contenuti a luci rosse. Campagne queste che hanno scatenato il popolo degli internauti in uno scambio di opinioni particolarmente acceso all’interno di forum dedicati.

Si tratta quindi di provocazione in stile marketing improntato alla ricerca della pura creatività quale pensiero divergente o, diversamente, della visione chiara di come il web ha pure cambiato, fra le altre cose, l’idea di reputazione aziendale? In altre parole, il web ha stravolto ancora una volta il modo di fare comunicazione? Ne ha modificato anche la visone dei valori (che comunque sappiamo variare storicamente e geograficamente)?

Accettando una laurea honoris causa presso l’Università di Notre Dame, il generale David Sarnoff fece questa dichiarazione: “Siamo troppo propensi a fare degli strumenti tecnologici i capri espiatori dei peccati di coloro che li maneggiano. In se stessi i prodotti della scienza moderna non sono né buoni né cattivi: è il modo in cui vengono usati che ne determina il valore”.

Come allora, anche oggi tale tesi pare non reggere.

Da un lato, gli esempi di comunicazione di cui si è detto non sono caratterizzati per originalità, basti pensare al fatto che da oltre dieci anni molte aziende hanno deciso di pubblicizzare i propri prodotti con scene di sesso esplicito piuttosto che, come si è detto, inserire nel cast di un noto reality ex pornostar.

Dall’altro, ritengo molto più corretta l’affermazione di Marshal McLuhan, che, proprio nel criticare la dichiarazione di Sarnoff affermava che “Qualunque apporto tecnologico non può far altro che aggiungersi a ciò che già siamo”. E già sappiamo come sia andata a finire la vecchia diatriba VHS contro Betamax…

Luca Silva

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