Storicamente, il primo utilizzo del periscopio sembra vada attribuito a Johann Gutenberg, l’inventore della stampa, che lo usò per consentire ai pellegrini di vedere sopra le teste della folla ad una festa religiosa svoltasi ad Aquisgrana nel XV secolo. Dal punto di vista tecnico, il periscopio è costituito da un insieme di prismi che riportano la visione su un piano diverso da quello iniziale, permettendo così una visione a giro d’orizzonte, mantenendo nascosto l’osservatore.

Vedere su un piano diverso da quello iniziale è anche l’obiettivo che si è prefissato Jack Dorsey nell’acquistare, per ben 100 milioni di dollari,  la nuova app di TwitterPeriscope, lanciata qualche mese fa sul mercato ed accolta dall’utenza con notevole entusiasmo e fermento. Ma vediamo cosa è e come funziona, prima di esprimere le nostre considerazioni su questo nuovo strumento e sulle relative potenzialità, sia positive che negative.

Dopo aver scaricato l’app gratuita ed essersi profilati passando da Twitter, viene abilitato l’accesso del programma alla fotocamera, microfono e, volendo, geolocalizzazione, si inserisce un titolo alla propria diretta e si schiaccia “Start Broadcast”. Qualsiasi cosa si scelga di riprendere e ovunque ci si trovi, si è in diretta con i propri follower che, se si vuole, si possono avvisare su Twitter grazie a un tweet pubblicato in automatico con il link allo streaming. Le dirette streaming restano visibili anche dopo il termine della registrazione in diretta per un tempo di 24 ore dal termine dello streaming live.

Dal punto di vista giuridico, si dovrà fare attenzione a privacy e copyright. Non a caso, i termini di servizio e la privacy policy di Periscope indicano una serie di comportamenti vietati all’utente, pena la rimozione del video e la cancellazione dell’account. Non sono ovviamente ammessi contenuti di tipo pornografico e sessualmente espliciti; il servizio di Twitter non potrà essere utilizzato quale strumento finalizzato a molestie o minacce o per diffondere dati sensibili di terzi. Infine non sono ammessi broadcast che violino il diritto d’autore di terzi.

Se è pur vero che le funzionalità di Periscope sono all’evidenza idonee di per sè a ledere diritti di terzi (come abbiamo già detto il diritto d’autore, i diritti della personalità e la privacy) è anche vero che esso rappresenta solo uno strumento tecnico e che le eventuali attività illecite sono direttamente ascrivibili agli utilizzatori. In tale contesto, la responsabilità di Twitter non potrebbe ascriversi al solo fatto di mettere a disposizione degli utenti uno strumento idoneo a ledere diritti di terzi ma potrebbe invece derivare dal fatto che, ad esempio, una volta segnalata la presenza di un account che veicola materiali illeciti, essa abbia omesso di adottare “tutte le misure idonee a evitare il danno”.

Fermo quanto sin qui detto, l’esame dei meccanismi di funzionamento di Periscope, unitamente all’analisi dei termini di servizio, inducono anche a considerare che la piattaforma operi come un mero fornitore di servizi di hosting, rivestendo un ruolo che difficilmente potrebbe essere qualificato “attivo”: l’app non dispone di un motore di ricerca e non suggerisce, come avviene in altri casi, i “contenuti correlati”.

Questo non significa, tuttavia, che Twitter sia in ogni caso immune da qualsiasi responsabilità: nei termini di servizio si legge infatti che Twitter si riserva la possibilità di rimuovere i contenuti che violino le proprie linee guida e di disabilitare gli account degli utenti autori di pubblicazioni illecite. Pertanto, se da un lato appare difficilmente ipotizzabile che Twitter – su segnalazione – si attivi in tempo reale per impedire il livestreaming di contenuti abusivi, sembra invece percorribile la via della richiesta di disattivazione degli account che sistematicamente utilizzino l’app in violazione dei diritti di terzi.

Una novità, rispetto ai tutti i portali di condivisione di contenuti audiovisivi, risiede nel fatto che Periscope consente di sapere chi ha visualizzato quel determinato contenuto trasmesso in diretta. Se si pensa che un grosso aggregatore video come You Tube non ha mai ipotizzato di prevedere questa specifica, ci si convince sempre più come la vera ratio di Periscope sia quella di una condivisione strettamente legata alla nostra rete sociale e, quindi, maggiormente mirata alla sfera di indirizzamento del contenuto piuttosto che alle caratteristiche estrinseche dello stesso.

Sharing e social e braccetto, con una predominanza per l’aspetto sociale piuttosto che per quello della condivisione. Almeno così sulla carta, o quantomeno nelle intenzioni dei soloni di Twitter. A modesto parer dello scrivente, l’aspetto sociale si riduce ad un mero specchietto per le allodole nel momento in cui, ad oggi, il contenuto con maggiore penetrazione di diffusione su Periscope è stato l’incontro di boxe Mayweather Pacquiau, contenuto pay tv super protetto come copyright. Appare, quindi, evidente come questo nuovo servizio, pensato per gli UCG e per valorizzare il materiale audiovisivo autoprodotto dagli utenti all’interno della loro consolidata rete sociale, ben si presta alle violazioni massive del diritto d’autore.

Tutto ciò stride con l’obiettivo prefissato dalla app di “vedere su un piano diverso da quello iniziale”; forse sarebbe stato più onesto e coerente dire “violare su un piano diverso da quello iniziale :)”

Filippo Catanzaro

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