Il Tribunale di Milano, con una recente ordinanza, interviene sul tema dell’assimilazione della stampa digitale a quella tradizionale, riaffermando il principio per cui nessun provvedimento cautelare atipico, sulla base dell’articolo 700 c.p.c., ad esempio la rimozione o la deindicizzazione del link, può inibire la libera circolazione di un articolo, che deve rimanere consultabile, anche su internet, fino a che non ne sia stata accertata la diffamatorietà all’esito di un ordinario giudizio di merito, con sentenza passata in giudicato.
Avendo gli stessi effetti di un sequestro, infatti, prima di tale momento un simile provvedimento violerebbe l’articolo 21, comma 3, della Costituzione, che ne vieta di massima l’adozione per la stampa, ma anche per i “prodotti” ad essa assimilabili, ove si ipotizzi la commissione di un reato.
La Suprema Corte, infatti, con due sentenze a Sezioni Unite (la 23469/2016 delle Sezioni unite civili e la 31022/2015 delle Sezioni unite penali) aveva affermato che le garanzie, previste per la stampa, si estendono anche al giornale telematico, quando possieda «i medesimi tratti caratterizzanti» del periodico tradizionale.
Tuttavia, secondo il Tribunale di Milano, poiché nessun diritto fondamentale è protetto in termini assoluti dalla Costituzione, si possono adottare, sempre in via cautelare, rimedi che tutelino medio tempore il presunto diffamato, ad esempio l’aggiornamento o l’integrazione dell’articolo, dando spazio alla sua versione dei fatti o dando atto della loro eventuale evoluzione.
Non solo; il suddetto limite non vale, ad esempio, quando l’azione è promossa a tutela non della reputazione, ma di altri diritti fondamentali, ad esempio quelli connessi al trattamento dei dati, per i quali vigono norme e criteri diversi.
Il provvedimento in esame, in sostanza, pur negando l’adozione di misure a suo dire equivalenti ad un sequestro, riconosce la particolare dannosità, a volte irreparabile, della permanenza online di notizie potenzialmente lesive; e rileva come equi ed adeguati possano risultare rimedi, diversi dalla eliminazione dell’articolo, ma idonei ad informare gli utenti sulle “voci contrarie”, sulla “verità soggettiva” dell’interessato, sull’evoluzione delle informazioni o sull’esistenza di un processo in corso per accertarne la legittimità. Si tratterebbe di rimedi integrativi o correttivi che, tra l’altro, promuovono il pluralismo, anch’esso tutelato dall’articolo 21 della Costituzione e che svolgono più o meno la stessa funzione della tradizionale rettifica, pur avendo quest’ultima presupposti e fini diversi.