Il 2 febbraio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata in un caso di violazione della reputazione aziendale attraverso commenti di utenti anonimi pubblicati su un portale di news.

Il ricorso è stato presentato da Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete (“MTE”), organo ungherese di autoregolamentazione dei fornitori di contenuti internet, e da Index.hu Zrt (“Index”), società proprietaria di uno dei più importanti portali di notizie Internet in Ungheria. Entrambi i soggetti ricorrenti consentivano agli utenti, previa registrazione, di commentare i contenuti apparsi sui propri portali, senza alcun monitoraggio o moderazione preventiva dei commenti stessi. Nel febbraio 2010, su quei portali, erano apparsi dei commenti offensivi e denigratori (pubblicati sotto pseudonimo) nei riguardi di alcune società immobiliari, ree, secondo gli utenti, di aver posto in essere pratiche commerciali ingannevoli. I giudici ungheresi, chiamati a decidere sulla diffamatorietà dei commenti postati, sulla lesione alla reputazione delle aziende coinvolte e sulla responsabilità dei portali per i commenti postati da terzi, hanno ritenuto i commenti pubblicati gravementi offensivi e hanno condannato i gestori dei portali, in quanto tecnicamente capaci di svolgere un’attività di monitoraggio preliminare dei contenuti pubblicati, che avrebbe scongiurato l’originaria pubblicazione dei commenti ed i conseguenti danni reputazionali.

Invocando l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (norma che tutela la libertà di espressione) e la normativa comunitaria in materia di responsabilità degli intermediari della società dell’informazione (direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico), sia MTE che Index si dolevano delle sentenze di condanna dei giudici ungheresi e ricorrevano alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ricorso veniva presentato il 28 marzo 2013.

La premessa su cui i giudici di Strasburgo hanno fondato la propria decisione è che “blog e portali di commenti” dovrebbero essere comparati ad organi di stampa, con conseguenti obblighi e responsabilità (punto 62). La Corte, ha quindi ritenuto di poter applicare gli principi espressi nel caso Delfi AS c. Estonia, deciso il 10 ottobre 2013 (n. 64569/09). In quella circostanza, la Corte riconobbe il portale responsabile dei commenti offensivi pubblicati online dai suoi lettori, in ragione del fatto che i commenti erano altamente offensivi, che il portale non aveva impedito che divenissero pubblici e che lo stesso traeva un profitto dalla loro esistenza, pur consentendo ai loro autori di rimanere anonimi. In quel caso, però, i commenti si sostanziavano in discorsi di incitamento all’odio ed alla violenza e, per questo, erano chiaramente illegali; nel caso di specie, non sussistendo tali elementi, la Corte ha tenuto conto: a) dell’interesse pubblico alla notizia, ossia la pratica commerciale ingannevole posta in essere dalle aziende asseritamente diffamate (nei confronti delle quali erano comunque pendenti indagini per condotta commerciale scorretta); b) della continenza delle espressioni usate, che seppur offensive, non sono state ritenute propriamente diffamatorie; c) della presenza, sui portali, di un apposito sistema di “segnalazione” di contenuti offensivi e del mancato esperimento di questo strumento (potenzialmente, di per sé,  idoneo a tutelare la reputazione commerciale delle aziende che ne lamentavano la lesione).

La Corte ha quindi concluso che, avuto riguardo delle circostanze del caso, i giudici ungheresi, condannando MTE e Index, in qualità di gestori dei portali, avessero violato il diritto alla libertà di espressione sancito dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e ne ha accolto il ricorso.

Avv. Ginevra Proia

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