In materia di protezione dei dati personali, come contemperare i diritti della persona (in particolare il diritto alla riservatezza) con il diritto ad essere informati? In Spagna, la Corte Suprema (Tribunal Supremo) si è trovata per la prima volta a decidere se vi fossero i presupposti per cancellare o trasformare in forma anonima determinate informazioni contenute nell’archivio digitale di un noto quotidiano, ovvero imporre all’editore l’adozione di misure tecniche atte ad impedirne l’indicizzazione sui principali motori di ricerca.
Il caso trae origine da una vicenda avvenuta oltre 20 anni fa e relativa all’arresto e la detenzione per spaccio di stupefacenti di alcune persone, tra le quali il famigliare di un personaggio pubblico. La notizia, allora riportata dal quotidiano con indicazione del nome, cognome e professione di tutti i soggetti coinvolti, nel 2007 (data in cui tutti i contenuti storici del giornale sono stati digitalizzati) passò dall’essere confinata nell’archivio cartaceo della casa editrice all’essere indicizzata come primo risultato sui motori di ricerca di Google e Yahoo. La sostanziale ripubblicazione online dell’articolo, a distanza di così tanti anni, sarebbe stata, a detta dei ricorrenti, lesiva della loro reputazione, nonché illegittima con riferimento al trattamento dei propri dati personali non più giustificabile alla luce del diritto di cronaca/critica.
Sul punto, si ricorda che l’art. 6 della Direttiva 95/46/CE richiede al soggetto responsabile del trattamento dei dati personali (nel caso di specie identificato nell’editore) che questi siano “adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati”.
La Corte, in applicazione della citata normativa, ha ritenuto che il trattamento automatizzato dei dati personali (nome e cognome dei ricorrenti) a scopo di indicizzazione sui motori di ricerca dei contenuti editoriali del quotidiano si configurasse come illegittimo in ragione del tempo trascorso dai fatti ivi descritti e della mancanza di un interesse pubblico alla notizia. Di conseguenza, ha ordinato all’editore di installare tutti gli accorgimenti tecnici necessari ad impedire l’indicizzazione e la conservazione dei dati personali dei ricorrenti nei data base dei motori di ricerca di internet, così sottraendo le pagine web che li contengono alla agevole reperibilità degli utenti.
Infine, partendo dal presupposto che il c.d. “diritto all’oblio digitale” non può supporre una censura retroattiva di informazioni che furono legittimamente oggetto di pubblicazione, la Corte ha evidenziato che gli archivi digitali hanno il fondamentale scopo di consentire al pubblico di accedere alle informazioni e, per tale motivo, le notizie in essi contenuti non possono e non devono essere cancellate o modificate, anche se potenzialmente lesive della reputazione altrui, né sarebbe possibile ordinarne la deindicizzazione dai motori di ricerca interni agli archivi digitali, vista l’essenziale funzione che essi svolgono nel consentire agli utenti che vi accedono di trovare i contenuti di loro interesse.
Avv. Ginevra Proia
© Riproduzione riservata