E’ sempre di grande attualità il tema dell’individuazione della soluzione di equilibrio da adottare in presenza di violazioni massive dei diritti autorali in ambito digitale. Violazioni che, proprio per le particolari modalità con cui vengono realizzate, necessariamente interferiscono con la fruibilità dei servizi forniti dagli operatori di connettività, senza i quali non potrebbero compiersi.

Soluzione di equilibrio che, anche se diversamente individuata dai giudici europei che si sono misurati con il tema in questione, deve necessariamente tenere nella dovuta considerazione i principi di proporzionalità e ragionevolezza che ispirano il quadro normativo comunitario di riferimento.

Principi, questi, che più volte hanno trovato corretta applicazione nella giurisprudenza europea, generando soluzioni individuate, in un caso, nell’obbligo per il gestore di un mercato online (e-Bay) di impedire in via preventiva l’accesso agli annunci provenienti dallo stesso utente, già identificato come autore di attività illecita (C- 324/09, L’Oréal vs eBay, conclusioni dell’Avvocato Generale, punto 169) e, in un altro, nell’obbligo per il fornitore di accesso a Internet (UPC-Telekabel) di adottare tutte le misure “ragionevoli” per impedire l’accesso a siti web che pubblicavano illecitamente opere cinematografiche (C‑314/12, Telekabel, sentenza, punto 64).

Abbiamo già descritto (qui) anche la soluzione proposta dal Tribunale di Torino nell’ambito del procedimento promosso da Delta Tv contro la piattaforma francese Dailymotion (in una fattispecie relativa alla pubblicazione non autorizzata di opere audiovisive).

In ambito internazionale, anche il mercato discografico appare molto attento al tema della pirateria digitale: è infatti recentissima la decisione (datata 17 dicembre 2015) di un giudice americano che –pur decidendo sulla base di un quadro normativo diverso da quello europeo- ha accertato la responsabilità di un fornitore di accesso ad Internet (Cox) per non avere impedito il protrarsi delle violazioni dei diritti esclusivi della storica casa discografica BMG su proprie opere musicali: in particolare, Cox è stata ritenuta responsabile per avere omesso di interrompere la fornitura di connessione a Internet agli utenti che utilizzavano il proprio servizio per il download illegale delle opere di BMG, ancorché l’ultima avesse ripetutamente messo a conoscenza dell’ISP (con oltre un milione di notifiche) l’esistenza di tali violazioni. Cox si è difesa sostenendo che BMG avrebbe potuto legittimamente richiedere l’interruzione del servizio solo dopo avere ottenuto una decisione giudiziale che accertasse la responsabilità degli utenti individuati come “repeat offenders”, dovendosi ritenere del tutto prive di valore, a questi fini, le segnalazioni della stessa BMG.

Al contrario, il giudice della Virginia ha ritenuto che le continue e numerose segnalazioni del titolare dei diritti erano idonee a far sorgere in capo all’ISP una conoscenza effettiva (“actual knowledge”) delle violazioni contestate e tanto avrebbe dovuto portare Cox ad impedire il ripetersi delle violazioni da parte di specifici utilizzatori del servizio (“by particular users”).

Le ragioni per cui le segnalazioni di BMG sono state deliberatamente ignorate (“willful contributory enfringement”) sono state individuate nell’interesse dello stesso provider a continuare a fornire connettività a tali utilizzatori per gli utili derivanti dal servizio di accesso alla rete: conseguentemente Cox è stata condannata ad un risarcimento di 25 milioni di dollari a fronte di circa 1.400 violazioni (quasi 18.000 dollari per ogni download illegale).

Un risultato certamente soddisfacente, che dovrebbe scoraggiare fortemente i provider di accesso alla rete i quali, anche nell’esperienza nazionale, non sempre si mostrano pronti a contrastare il fenomeno della pirateria digitale.

Avv. Alessandro La Rosa

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