Nel workshop sul copyright online organizzato da Confindustria Radio Televisione e tenutosi il 29 Gennaio scorso a Roma presso l’ANICA, sono emersi numerosi dati allarmanti che fotografano un fenomeno di dimensioni vastissime e dagli effetti devastanti. Si pensi soltanto che un italiano su tre usufruisce di contenuti audiovisivi scaricati illegalmente tramite internet e che ciò ha comportato solo in Italia la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro.
La pirateria del web è diventata un pericolo mortale per i broadcaster televisivi e in generale per tutti i titolari dei diritti d’autore. Ecco, quindi, che, dopo numerosi interventi giurisprudenziali italiani ed internazionali a difesa del copyright, anche il regolamento sulla tutela del copyright online, varato dall’AGCOM, potrebbe essere un nuovo passo verso l’implementazione concreta di regole che già esistono e che sono disegnate per tutelare tutti coloro che partecipano alla catena della creazione di contenuti.
Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha manifestato grande preoccupazione per il futuro delle aziende e dei lavoratori occupati nel settore: “se non c’è la tutela del nostro patrimonio, della nostra attività rischiamo di chiudere. Il settimo comandamento è “non rubare”: facciamolo diventare una regola anche per Internet“. Ha poi proseguito: “Se il diritto di autore non è rispettato saltano tutti, salta il nostro modello di business mentre altri fanno miliardi di utili” ed infine ha concluso affermando che “non ci deve essere una contrapposizione tra libertà e legalità”.
Il sistematico sfruttamento di diritti altrui, dunque, non ha nulla a che vedere con la tutela della libertà di espressione, invocata strumentalmente e assai di frequente per difendere divulgazioni non autorizzate di opere protette e in definitiva un modello di business tanto redditizio quanto parassitario; piuttosto tale attività confligge costantemente non soltanto con la normativa in tema di diritto d’autore, quanto più in generale, come ricordato dal presidente Confalonieri, con una regola fondamentale per ogni civiltà, quella prevista dal settimo comandamento: “Non rubare”.
All’evento hanno partecipato i vertici dei principali broadcaster, della SIAE, nonché il Presidente dell’AGCOM Cardani e il presidente dell’AGCM Pitruzzella, tutti concordi sulla necessità di imporre in rete la legalità così come viene imposta negli altri “luoghi” e agli altri mezzi di comunicazione.
Nella stessa direzione è stato anche l’intervento del Presidente dell’ANICA, Riccardo Tozzi, il quale ha evidenziato che la normativa sul diritto d’autore vigente è stata nel corso di decenni di applicazione efficace per contemperare gli interessi di tutti – garantendo tra l’altro anche la libertà di commento e critica attraverso le previsioni relative alle libere utilizzazioni – e che non si comprende quindi quali siano le ragioni per modificare la disciplina solo per gli operatori del web.
Ha concluso i lavori il ministro Catricalà con un intervento che, invece, ha destato non poche perplessità. Il Ministro ha infatti affermato che, pur essendo necessarie, le “regole” in Internet le si dovrebbe chiamare in altro modo per non “urtare” la suscettibilità dei giovani internauti e che la prima fonte di regolamentazione dovrebbe essere ricercata nei codici di autodisciplina.
La prima affermazione appare a chi scrive pericolosa ed un po’ ipocrita: le regole comunque le si chiami e a meno di degradarle a “suggerimenti”, regole restano; chiamarle in altro modo (come?) suggerisce però un maggiore spazio di tolleranza a favore dello specifico mezzo internet, che davvero non pare opportuno, vista la mole dilagante del fenomeno. D’altronde, lo stesso Ministro Catricalà, riferendosi al diverso tema della gara per le frequenze ha usato, in questo caso con dichiarato orgoglio, la parola “regole” per illustrare il percorso compiuto dal Governo.
La seconda affermazione poi appare davvero incomprensibile e suona davvero “cacofonica” in bocca ad un fine giurista e rappresentante del Governo. Il diritto d’autore è infatti regolato da un corpo di leggi che prevedono fattispecie di illecito civili e penali: ciò significa che è dovere delle autorità, nell’ambito delle proprie competenze, dare applicazione concreta a tali norme. Come in ogni campo, l’autodisciplina può venire dopo, ma certo non può essere fonte di regolamentazione cui affidarsi per superare e disapplicare le normative vigenti. D’altronde nessuno si sognerebbe di regolamentare il reato di omicidio attraverso un codice di autodisciplina scaturito da un tavolo di assassini; il paragone è volutamente forte ma, pur essendo il disvalore e la pericolosità sociale dell’omicidio ovviamente incomparabilmente maggiore di qualsiasi violazione del diritto d’autore, il principio non muta, avendo il legislatore espresso il suo giudizio di disvalore prevedendo reati e illeciti civili e graduando le pene di conseguenza e non potendo essere rimesso agli autori del reato o dell’illecito di stabilire come … combattere se stessi e le proprie attività illegali!
Stefano Previti