Italia e Inghilterra allineate sugli elementi di identificazione delle emissioni televisive.

E’ noto che il quadro normativo (comunitario e nazionale) subordina la possibilità di considerare il fornitore di servizi di hosting responsabile della pubblicazione non autorizzata di contenuti audiovisivi al fatto che esso abbia una “conoscenza effettiva” della natura illecita del materiale in questione. Il Tribunale di Roma (Sez. Impresa) con sentenza del 27 aprile c.a. ha riaffermato un principio che era già stato consacrato da due sentenze del Tribunale di Milano (Sez. Impresa, già citate qui) secondo cui in fattispecie in cui oggetto della pubblicazione sono video estratti da programmi televisivi, il titolare dei diritti fornisce un’informazione idonea a “sollecitare la necessaria attività di verifica e controllo” del provider indicando la denominazione delle opere audiovisive da tutelare; circostanza che consentirebbe al gestore del sito di identificare i video illeciti “con gli stessi strumenti informatici utilizzati dagli utenti per la ricerca delle trasmissioni (sul medesimo sito) attraverso le parole chiave”. Peraltro l’attività di identificazione è resa ancora più semplice qualora sui video in questione compaia il logo identificativo del broadcaster.

In tale contesto la tesi sostenuta dai provider della necessità della specifica indicazione degli URL è “insostenibile” perché oltre a vanificare in concreto ogni forma di tutela effettiva, si pone “in contrasto con tutte le direttive europee e le sentenze della Corte di giustizia che, pur affermando l’insussistenza di un obbligo generale di sorveglianza, mai hanno considerato la necessità della specifica e tecnica indicazione degli URL”. Tanto perché, come già accertato dal Tribunale di Torino (di cui abbiamo riferito qui), gli Url “non sono i contenuti ma la loro localizzazione, luoghi ove vengono caricati i video e non i files illeciti”.

La recentissima decisione del Tribunale di Roma si pone in piena sintonia con un consolidato orientamento della giurisprudenza inglese in base al quale la chiara visibilità del logo identificativo dell’operatore televisivo deve essere considerato elemento sufficiente per la identificabilità del titolare dei diritti sulle stesse emissioni: così, lo scorso 18 marzo, la High Court of Justice di Londra ha condannato il gestore di un sito Internet e di una App attraverso cui venivano messi a disposizione del pubblico gli highlights di partite di cricket “rubate” ad un noto broadcaster, confermando che ancorché i video fossero immessi in rete dagli utenti, essi erano resi facilmente identificabili stante la presenza costante dal logo distintivo del titolare dei diritti.

Avv. Alessandro La Rosa

© Riproduzione riservata

 

Articoli recenti

“Security-Enabled Transformation: la resa dei conti”: di cosa si è discusso del Politecnico di Milano presso l’Aula Magna Carassa e Dadda, campus Bovisa del Politecnico di Milano il 5 febbraio 2020

Articolo di OWL Italia Lo scorso 5 febbraio 2020, presso l’Aula Magna Carassa e Dadda, campus Bovisa, si è tenuto il Convegno “Security-enabled transformation: la resa dei conti” in cui sono stati presentati i risultati della Ricerca dell’Osservatorio Security & Privacy della School of Management del Politecnico di Milano (in...
Categorie Privacy, Approfondimenti, Homepage Continua a leggere