Continua il dibattito circa la legittimazione dell’Agcom ad emanare il regolamento a tutela del diritto d’autore sul web. Dibattito che vede coinvolti personaggi di ogni calibro: giornalisti, professori, avvocati al punto che nelle scorse settimane – persino la terza carica dello Stato, il Presidente della Camera dei Deputati, Onorevole Laura Boldrini – ha ritenuto opportuno offrire il proprio contributo ricordando che la regolamentazione della materia spetta al Parlamento.
Che titolare del potere legislativo, nel nostro sistema costituzionale, sia il Parlamento è affermazione più che ovvia: d’altra parte dovrebbe essere altrettanto scontato che l’ordinamento prevede, a fianco di quest’ultimo, organismi ed autorità alle quali è affidato il compito di far applicare e rispettare le leggi già esistenti. Ruolo istituzionale che non dovrebbe essere svalutato proprio dal Presidente di un’istituzione importante come la Camera dei Deputati, che in tal modo, a ben vedere, svaluta anche l’attività legislativa: se l’applicazione delle leggi non è importante, allora le regole sono funzionali soltanto al dibattitto politico e mediatico, ma non a realizzare scopi concreti utili per la collettività.
Probabilmente anche il Presidente della Camera ritiene che l’AGCOM non sia titolare della necessaria legittimazione a contrastare la pirateria sul web e che il suo campo d’azione sia limitato alle violazioni commesse dai media audiovisivi.
Tale interpretazione tuttavia appare giuridicamente incomprensibile, considerato che la normativa attuale – piaccia o meno – offre ad Agcom un ampio margine di manovra, affidandole il compito di vigilare contro le violazioni del diritto d’autore realizzate “con qualsiasi procedimento (…) e mezzo”. Né si comprende per quale motivo una violazione di legge cessi di essere tale solo perché l’autore dell’illecito ha avuto “l’accortezza” di operare sul web e non, ad esempio, tramite un’emittente televisiva. È un po’ come se si distinguesse tra la vendita di carne avariata in macelleria e la vendita della stessa carne tramite web: se la carne è avariata, venderla è illecito, a prescindere dal mezzo utilizzato.
Tali singolari interpretazioni della normativa sembrano voler proteggere “ad ogni costo” chi viola la legge, anche in casi di manifesta e reiterata violazione. Insomma, una sorta di legge della giungla che, incredibilmente, trova sostenitori anche in chi dovrebbe essere in prima fila ad affermare la supremazia della legge.
La tutela del diritto d’autore, in particolare, si è sviluppata come un obiettivo imprescindibile, essendo risultata determinante per garantire la produzione artistica ed intellettuale e quindi anche per accrescere il patrimonio culturale della collettività.
L’ormai troppo spesso ascoltata litania di chi difende l’indifendibile, ossia gli atti illeciti, è che occorre tutelare la libertà di manifestazione del pensiero. Tuttavia, sostenere che da una rigorosa tutela del diritto d’autore possano scaturire lesioni alle libertà di opinione e d’espressione è semplicemente falso.
Infatti la legge sul diritto d’autore prevede già al suo interno specifiche deroghe finalizzate proprio a contemperare i diritti di tutti: garantendo tanto la libertà di commento e critica quanto l’interesse alla creatività; né, d’altro canto, si può seriamente sostenere che la libertà d’espressione debba prevalere sempre e comunque su altri interessi generali, incluso quello alla salvaguardia della creatività.
Peraltro, è proprio per formare nella collettività un’opinione davvero libera ed informata che occorre tutelare autori ed editori professionali e di qualità, evitando di deprimere la produzione artistica e l’informazione.
In realtà non si deve dimenticare che chi diffonde illegalmente contenuti di terzi non esercita la propria libertà d’espressione, ma lede un diritto altrui, e ciò indipendentemente dal fatto che tanto avvenga nel mondo “reale” o in quello “virtuale”: la contraffazione è tale in entrambi i casi.
Non va dimenticato poi che chi sfrutta diritti altrui persegue quasi sempre un evidente fine di lucro, talora costruendo interi modelli di business sul sistematico sfruttamento illecito della proprietà intellettuale.
In proposito il dibattito si è “arricchito”, si fa per dire, anche dell’opinione di chi pretenderebbe di modificare il diritto d’autore, rendendo lecita la diffusione di opere protette effettuata non a fini di lucro. Attualmente è illegale, come ha pure recentemente stabilito la Corte di Giustizia nell’ambito della nota causa C-607/11, tanto l’offerta a fini commerciali quanto quella priva di tale specifica finalità: se la contraffazione “non a scopo di lucro” non fosse perseguita, il mercato sarebbe velocemente saturato di copie delle opere protette diffuse su Internet gratuitamente, con buona pace, anche in questo caso, delle esigenze di tutela dei titolari dei diritti esclusivi, che vedrebbero crollare –come in effetti è già in tanti casi avvenuto, si pensi alla musica- il valore delle loro opere. Non solo: una siffatta modifica colpirebbe alla radice lo stesso concetto di proprietà intellettuale –che come tale presuppone il pieno controllo da parte del proprietario- e costituirebbe un “cavallo di Troia” per molteplici ipotesi di sfruttamento economico indiretto: la pubblicazione di opere protette, anche non accompagnate da pubblicità direttamente associata, aiuterebbe il contraffattore a creare traffico e conseguente valore al veicolo di diffusione illecita.
Ricominciamo dunque dal diritto vigente e da una visione più onesta e meno demagogica del web, avendo di mira l’obiettivo della legalità e consentendo, anzi chiedendo, alle Autorità – giudiziarie ed amministrative – di applicare le leggi esistenti, evitando di costruire barriere fondate su interpretazioni strumentali della normativa, al solo scopo di raccogliere facili consensi e di coprire chi opera nell’illegalità, spesso impunemente e sistematicamente.
Stefano Previti