La pubblicazione di immagini sui social network, Facebook in primis, è un fenomeno sempre più frequente. Condividere contenuti sembra essere la comune frenesia dei nostri tempi, ma cosa succede quando le immagini che pubblichiamo sono coperte da diritto d’autore? Condividerle equivale a renderle di proprietà comune?
Il Tribunale di Roma si è recentemente espresso su un caso che può fornire interessanti spunti di riflessione (sentenza n. 12076/2015).
Di seguito, un breve riepilogo dei fatti: un utente di Facebook pubblicava sul proprio profilo, con impostazione “pubblica”, alcune fotografie da lui realizzate all’interno di locali notturni della Capitale. Le sue fotografie venivano ‘prelevate’ da una terza persona che, senza ottenere il preventivo consenso del fotografo e senza corrispondergli alcun compenso, le estrapolava dal social network e le consegnava ad un quotidiano. Le stesse venivano, quindi, utilizzate dal quotidiano a corredo di articoli giornalistici e televisivi relativi al fenomeno delle c.d. baby cubiste.
Occorre premettere che, a norma della legge posta a tutela del diritto d’autore (L 22/04/1941, n. 633), le fotografie semplici, vale a dire le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale”, come quelle oggetto della suddetta pubblicazione, seppur prive del carattere creativo, sono tutelate, ai sensi degli artt. 87 e ss., come diritti connessi.
Ebbene, secondo la difesa di parte convenuta, la pubblicazione delle fotografie sulla pagina di Facebook, avrebbe comportato l’accettazione delle condizioni generali di contratto del social network, e, di conseguenza, il trasferimento, in capo alla società proprietaria di Facebook di tutti i diritti di proprietà intellettuale sui contenuti pubblicati dall’utente, con la conseguenza, per quest’ultimo, di aver perso il diritto di opporsi all’utilizzo, da parte di terzi, delle proprie istantanee.
Tale impostazione interpretativa non è stata accolta dal Tribunale che fornendo la propria interpretazione delle condizioni di licenza di Facebook ha stabilito che la pubblicazione sul portale di “contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale” non comporta la cessione integrale dei diritti fotografici spettanti all’utente; il quale, invero, cede a Facebook la sola “licenza non esclusiva, trasferibile, per l’utilizzo di qualsiasi contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook”, licenza valida finché il contenuto è presente sul social network. Più in particolare, la possibilità di utilizzo dei contenuti pubblicati con impostazione “pubblica”, non costituisce licenza generalizzata di utilizzo e di sfruttamento dei contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale in favore di qualunque terzo che accede alla pagina Facebook. Ne discende, che il proprietario dei contenuti può legittimamente opporsi ad un loro indebito sfruttamento.
Alla luce di ciò, il Tribunale ha accertato l’illiceità della pubblicazione delle immagini, riconosciuto in capo al fotografo il diritto alla tutela risarcitoria e condannato, in via solidale, colui che ha prelevato le foto dal portale e il quotidiano che le ha diffuse, al risarcimento del danno.
Ma nell’era della fotografia digitale e dello scambio di file digitali, come possiamo sapere se un’immagine è protetta da diritto d’autore? Qual è il grado di diligenza che viene richiesta agli utenti che riproducono contenuti fotografici?
Sotto tale profilo, si condivide l’orientamento del Tribunale di Roma che nell’ottica di un’interpretazione evolutiva della legge sul diritto d’autore, ad oggi più che mai necessaria, ha tenuto conto del fatto che la ratio della normativa posta a tutela della fotografia è quella di considerare lecita la riproduzione delle fotografie quando il riproduttore non è in grado o non può conoscere con l’ordinaria diligenza il nome del titolare dei diritti cui chiedere l’autorizzazione alla pubblicazione e a cui corrispondere l’equo compenso nel caso in cui non sia ancora scaduto il temine (di venti anni) di durata dei diritti in questione.
Il Tribunale ha, quindi, operato una distinzione tra l’ipotesi in cui la pagina web non sia riconducibile all’autore della fotografia o non sia indicato in maniera chiara il nome del fotografo (caso in cui non sarebbe dovuto l’equo compenso e la riproduzione non sarebbe abusiva) e il caso in cui l’immagine fotografica sia pubblicata su una pagina web riconducibile al titolare dei diritti (caso in cui la riproduzione può dirsi, evidentemente, abusiva). Nel mezzo, c’è la zona grigia dei social network, in cui è tecnicamente possibile che al nome di un utente sia associato un contenuto coperto da diritti di proprietà intellettuale di terzi. Ebbene, in questo caso, la pubblicazione di una fotografia nella propria pagina personale, non costituisce, di per sé, prova della titolarità dei diritti di proprietà intellettuale su quel contenuto. Tuttavia, precisa il Tribunale, “in mancanza di altre emergenze probatorie di segno contrario (come nel caso dell’indicazione sulla fotografia del nome di un terzo quale fotografo; la condivisione di un contenuto appartenente ad altro utente o di altra pagina web; la notorietà dell’immagine appartenente ad altro fotografo ecc.) può assurgere a presunzione grave, precisa e concordante della titolarità dei diritti fotografici in capo al titolare della pagina del social network nella quale le immagini sono pubblicate”.
In concreto, ciò genera un’inversione dell’onere della prova per cui la titolarità dei diritti fotografici si presume in capo a chi ha pubblicato i contenuti sul social network e sarà il riproduttore a dover fornire la prova che i file digitali prelevati non siano coperti da diritto d’autore.
Avv. Ginevra Proia
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