In ambito di design industriale, “l’indagine sull’interferenza deve essere condotta non compiendo un confronto dei singoli particolari, ma alla luce della visione d’insieme, avendo riguardo a tutti gli elementi essenziali dell’opera”.
Così ha stabilito il Tribunale di Milano con la sentenza 11942/2017, quando si è trovato a dover decidere sulla sussistenza di una violazione ex art. 156 LDA e di un comportamento integrante gli estremi della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. (in particolare, delle ipotesi di imitazione servile e di violazione dei principi di correttezza professionale), in merito a due divani caratterizzati da una particolare tipologia di design.
Dalla comparazione effettuata fra i due complementi d’arredo è, infatti, risultato che essi avevano sì un elemento di design in comune (lo schienale), e che il divano su cui parte attrice vantava i diritti era effettivamente qualificabile come “opera di designindustriale”, data l’originalità e novità della forma, la fama dell’autore ed il riconoscimento ottenuto dall’opera nel settore; tuttavia “sussistevano importanti differenze, tali da attribuire ai due design un diverso pregio estetico, non sovrapponibile”.
Nel rigettare la pretesa risarcitoria di parte attrice, il Giudice ha precisato che “quelle stesse linee che sono tutelate sotto il profilo autoriale -perché caratterizzanti l’intero design industriale- non possono trovare tutela sotto il profilo confusorio”, nel senso che sono solo le caratteristiche di design considerate nel loro insieme che vanno a caratterizzare le distinte opere, conferendo loro un “valore estetico idoneo, da solo, ad orientare la scelta dell’acquirente”, divenendo il preminente “motivo dell’acquisto”.