Solo qualche settimana fa YouTube Kids (un applicazione sviluppata da Google e destinata ad essere utilizzata dai bambini) è finita nel mirino di diverse associazioni dei consumatori secondo cui la App camufferebbe, all’interno dei video diffusi, diversi contenuti pubblicitari, effettuando così una pubblicità occulta.

Come noto la pubblicità occulta è ritenuta illecita anche nel nostro ordinamento ed è sanzionata perché “elude le naturali difese rappresentate dalle risorse critiche alle quali il pubblico è solito ricorrere dinanzi ad una pressione pubblicitaria scoperta” ed appare più “autorevole ed affidabile per il fatto che il messaggio ha l’apparenza di un’informazione neutrale e disinteressata[1].

Non può dunque che suscitare preoccupazioni il fatto che ad esser stata accusata di pubblicità occulta sia stata un’applicazione sviluppata proprio da Google, ovvero il gestore del più noto fra i motori di ricerca.

Google così come Facebook, Yahoo!, Twitter (ossia i c.d. OTT) ha infatti una vastissima conoscenza dei dati personali di ciascuno di noi così che, eventuali condotte pubblicitarie scorrette, potrebbero avere effetti potenzialmente molto pericolosi e allo stesso tempo potrebbero essere difficilmente controllabili potendo gli OTT veicolare contemporaneamente una vasta quantità di inserti pubblicitari, di differente contenuto, sugli schermi di ciascun individuo.

In buona sostanza se può essere semplice accertare e sanzionare l’illiceità di uno spot pubblicitario inserito all’interno di un film o di una trasmissione televisiva, proprio perché tale spot è diffuso con modalità e contenuti analoghi per ciascuno dei telespettatori ed è facilmente visibile anche in un secondo momento, molto più complesso può essere invece accertare la liceità di un inserto pubblicitario diffuso sul web proprio perché, il più delle volte, tale inserto è di contenuto differente per ciascun utente ed è difficilmente consultabile in un secondo momento.

Un tema quello relativo allo strapotere degli OTT, e all’enorme capacità che gli stessi hanno di influenzare il pubblico, che ha richiamato il duro intervento di Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali che in un’intervista rilasciata a Repubblica, la scorsa settimana, ha osservato che “Google, Facebook, Amazon hanno oggi un potere che nessuno ha mai avuto nella storia dell’umanitàSanno tutti di noi, delle nostre scelte, dei nostri gusti. Questa mole di dati permette a un ristretto gruppo di aziende di orientare sia i consumi sia la produzione dei beni.”

Secondo Soro ad essere in pericolo oggi sarebbero le stesse “libertà democratiche” perché “domani, dopo averci detto quale cellulare comprare o quale libro leggere” i motori di ricerca o i social network, potrebbero suggerirci magari anche per chi votare”.

Le preoccupazioni del Garante sono condivisibili così come condivisibile sembra anche il richiamo ad interventi più concreti che dovrebbero provenire dall’Unione Europea: “va nella giusta direzione la Risoluzione del Parlamento europeo del novembre 2014 che chiede a Google, anche a Google, di tenere separate le attività del motore di ricerca dagli altri suoi servizi. Se un principio del genere diventasse cogente, Google non potrebbe più cumulare i dati che incamera attraverso il suo motore con quelli raccolti dalle tante società acquisite in questi anni. Il problema vero è che la Risoluzione è un atto simbolico, non obbligatorio”.

Avv. Daniele Roncarà

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[1] TAR Lazio, 12.9.2011 n. 7183

 

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