Mentre ancora non trova composizione il dibattito sui poteri da riconoscere all’AGCOM nell’ambito della lotta alla pirateria via internet e in attesa che la Corte di Giustizia chiarisca la portata degli obblighi impeditivi che possono accollarsi agli internet service provider (in tema di contrasto alle violazioni del diritto d’autore), il diritto (processuale) penale italiano sembra avere ormai individuato alcune originali soluzioni ai problemi più contingenti.

Si tratta dei provvedimenti di sequestro preventivo adottati contro siti o portali stranieri, attraverso i quali vengono dichiaratamente perpetrate palesi violazioni del copyright su contenuti audio-visivi, letterari o sportivi.

Il noto precedente è rappresentato dal provvedimento del GIP di Bergamo con cui, nel settembre del 2008, era stato disposto il sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. del sito www.thepiratebay.org: in detto provvedimento, preso atto dell’impossibilità di procedere alla materiale apprensione delle res pertinenti al reato (ovvero dei server esteri in cui erano alloccati e processati i dati illeciti), il Gip – richiamati i poteri di cui agli artt. 14 e 16 del d.lgs. 70/2003 – aveva ordinato ai fornitori di connettività di inibire l’accesso al predetto sito a tutti i cybernauti italiani.

La decisione, originariamente annullata dal Tribunale del Riesame, era stata ratificata dalla Suprema Corte che, con sentenza n. 49437/2009, ha riconosciuto come la lettura congiunta delle norme richiamate dal GIP di Bergamo “consenta di affermare che sussiste un potere inibitorio dell’autorità giudiziaria penale avente il contenuto di un ordine ai provider dei servizi suddetti di precludere l’accesso alla rete informatica Internet al solo fine di impedire la prosecuzione della perpetrazione del reato di cui all’art. 171 ter” l. 633/1941, evidenziando come tale potere rappresenti una (innovativa, ma legale) modalità di esecuzione della (più tipica) misura cautelare del sequestro preventivo.

Metabolizzato l’arresto giurisprudenziale, nel corso dell’ultimo anno (e soprattutto ad opera dell’Ufficio GIP del Tribunale di Milano), il “sequestro preventivo mediante oscuramento” è diventato lo strumento privilegiato per la tutela del diritto d’autore in internet.

Nel dicembre del 2012 è stato, infatti, chiuso un sito estero che conteneva una vera e propria banca dati abusiva di titoli editoriali (anche italiani) coperti da privativa; poco dopo (gennaio 2013) è stata la volta di una ventina di siti stranieri che consentivano la visione in streaming di eventi sportivi licenziati ad operatori televisivi nazionali; mentre nella scorsa estate è stato oscurato – su denuncia della Lega Calcio – il portale Rojadirecta, con il suo sterminato repertorio di incontri calcistici, visionabili sia in diretta che tramite highlights.

Si è trattato di decisioni importanti, non solo perché hanno mostrato di avere recepito e valorizzare il precedente bergamasco, ma soprattutto perché hanno superato indenni il vaglio dei giudizi di riesame cui sono stati sottoposti e da cui sono usciti rafforzati. In particolare, l’impugnativa presentata da un ISP – che censurava l’ordine di oscuramento in quanto, a suo dire, foriero di eccessivi oneri per il fornitore di connettività – è stata dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione attiva in capo al predetto fornitore.

Al contempo, l’impugnativa presentata dalla società titolare di un dominio sequestrato – che censurava l’ordine di oscuramento sotto il profilo della (asserita mancanza di) proporzionalità ed adeguatezza – è stata rigettata, sul presupposto che il blocco dell’accessibilità al sito rappresenta una contromisura più che legittima e necessitata proprio dalle peculiarità della rete internet.

Chiarita (in maniera ormai stabile) la piena legittimità del sequestro mediante oscuramento, i problemi si spostano ora sul piano attuativo.

Ed invero, per quanto i provvedimenti dei Gip abbiano in genere cura di precisare che l’ordine di inibitoria debba estendersi a tutti gli alias e ai nomi di dominio (sia presenti, che futuri) rinvianti al sito sequestrato, la facilità con cui è possibile modificare indirizzi IP e DNS in rete, insieme con le limitate risorse della polizia postale (deputata all’esecuzione dei provvedimenti) e alla non sempre solerte collaborazione degli ISP, rischiano di depotenziare sensibilmente l’effettività della misura cautelare.

Al di là di questi aspetti, su cui ancora si può e si deve certo lavorare, lo strumento del sequestro mediante oscuramento rappresenta ormai un’arma importante nella tutela del diritto d’autore in rete e dimostra come, nonostante i ritardi legislativi, il diritto vivente riesca ancora ad adattarsi alla modernità, facendo tesoro dei principi e dei materiali normativi vigenti e tenendo sempre fermo il vincolo della legalità, nella delicata opera del contemperamento degli interessi contrapposti.

Marco Farina

 

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