La Procura di Roma ha aperto un’indagine per le minacce di morte e violenza verbale rivolte via web alla Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini. La questione è nata agli inizi di maggio del 2013, all’indomani della sua nomina a Presidente della Camera, ed è cresciuta con il tipico effetto a valanga che la Rete produce: il web ha infatti la capacità di moltiplicare ad una velocità spaventosa la minaccia o la violenza verbale, la diffamazione o qualsiasi illecito perpetrato attraverso internet, nei confronti delle vittime. Nell’era 2.0. il messaggio arriva subito al destinatario, e si moltiplica: ri-twittando, postando su un blog, caricando su You Tube il messaggio diffamatorio, violento o minaccioso, raggiunge un numero spaventoso di utenti, tra cui il destinatario.
La domanda che la Presidente della Camera si è posta è la seguente: “occorre controllare il web?”.
Di fatto, Il modo di perpetrare la minaccia on line è differente “dal tradizionale”. Si tratta di un “nuovo modello di reato”. Entrano in gioco altri soggetti oltre all’autore della minaccia, con ruoli più o meno attivi nel concorso alla realizzazione dell’evento. c’è l’Internet Service Provider (Twitter, You Tube, il portale che ospita il blog…) e c’è la connessione ad internet (gestori di connettività). Il ruolo più o meno attivo di questi soggetti non può non essere considerato e normato. Ormai è superato l’utilizzo della lettera anonima per minacciare qualcuno, non serve più conoscere il numero di telefono privato della vittima, urlarle per strada l’offesa o scrivere la frase diffamatoria sul muro della piazza: basta un tweet od un post ed in Rete il messaggio viene letto da migliaia di utenti ed arriva dritto al destinatario. Ma se non vi è dubbio che una frase oltraggiosa debba essere cancellata dal muro di una piazza, oggi ci si chiede se sia “giusto” intervenire per la rimozione del messaggio oltraggioso o di una minaccia di morte presente sul web. La Boldrini ha rilasciato varie interviste sul tema, in particolare in un articolo pubblicato dal quotidiano “La Repubblica” ha affermato: ”non possiamo più considerare meno rilevante quel che accade in Rete rispetto a quel che succede per strada”. Sacrosanto, a mio avviso: e non si può parlare né di censura né di limitazione della libertà di informazione: semplicemente significa applicare le norme del codice penale anche alla Rete. Se così non fosse, si legittimerebbe la diffusione in rete della cultura della “minaccia tollerata”, non punita né punibile. Quindi forse il problema da porsi non è tanto “se controllare il web” ma verificare se vi siano, in Italia, adeguati strumenti per il singolo cittadino, per i politici, per le imprese che subiscono dal web diffamazioni, violazioni della Privacy, minacce di morte o di violenze da parte di soggetti, autori di reati, che si nascondono dietro l’anonimato della Rete. La libertà della Rete, a mio avviso, non si alimenta con l’impunità, con l’espressione di illeciti protetti dall’anonimato e dalla tanto invocata “esenzione di responsabilità” degli operatori Internet. La battaglia non è solo giuridico-legale, ma è una battaglia culturale: la libertà di informazione e di parola viaggia parallela al concetto di legalità. La Rete dovrebbe essere considerata un luogo reale dove persone scrivono e postano parole reali. L’impunità aumenta l’illegalità, e per combattere l’illegalità significa poter avere un potere di controllo, cosa ben diversa dall’applicazione di strumenti di censura.
Valeria Ghigna