Con decisione resa in data 19 settembre 2019 nel procedimento T-359/18 il Tribunale dell’Unione Europea è stato investito di una controversia avente ad oggetto il giudizio di confondibilità tra due marchi: , marchio registrato in Italia nella classe 3 (Shampoo; prodotti di profumeria; olii essenziali; cosmetici per la cura della pelle e dei capelli; saponi; saponette; creme dermatologiche, non per uso medico), e il marchio “TRICOPIN”, depositato successivamente in sede comunitaria nelle classi 3 e 5 (Preparati farmaceutici per la cura della pelle e dei capelli; prodotti cosmetici con proprietà medicali per la cura della pelle e dei capelli; prodotti per il trattamento dei pidocchi; prodotti per l’eliminazione dei pidocchi nei capelli).

Con il primo motivo veniva eccepiva la mancata prova circa l’effettivo utilizzo del marchio anteriore nel mercato italiano, corrispondendo, quest’ultimo a un uso meramente simbolico e, come tale, insufficiente a creare o mantenere quote di mercato.

Il Tribunale rileva che ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001, da leggersi in combinato disposto con l’articolo 47, paragrafo 3, il titolare di un marchio anteriore che abbia presentato opposizione deve provare che nel corso del termine di cinque anni antecedenti alla pubblicazione della domanda di marchio dell’Unione europea, il predetto marchio sia stato oggetto di uso effettivo nello Stato membro in cui è protetto per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato e sui quali si fonda l’opposizione, ovvero che sussistono motivi legittimi per il suo mancato uso, purché a quella data il marchio anteriore fosse registrato da almeno cinque anni. In mancanza di tale prova, l’opposizione sarebbe stata respinta. Peraltro, la prova dell’uso deve stabilire il luogo, il tempo, l’intensità e la natura dell’uso del marchio anteriore, per i prodotti e i servizi per i quali esso è stato registrato e su cui si basa l’opposizione.

Al riguardo e secondo i giudici, può essere rinvenuta l’effettività nell’utilizzo del marchio laddove quest’ultimo mantenga la sua funzione essenziale, ovverosia, laddove sia garantita l’identità di origine dei prodotti e dei servizi per i quali è stato registrato. Peraltro, nel giudizio di valutazione circa l’effettività nell’utilizzo del marchio dovranno essere valutate tutte le circostanze che possano provare un suo sfruttamento commerciale, tra cui rientrano tutti gli usi considerati giustificati nell’ambito del settore economico interessato, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato e l’ampiezza e la frequenza nel suo uso.

Peraltro, il Tribunale nella valutazione delle circostanze concrete ha stabilito che: secondo giurisprudenza oramai consolidata, “il fatturato realizzato nonché il numero di vendite di prodotti con il marchio anteriore non devono essere giudicati in assoluto, ma devono essere valutati rispetto ad altri fattori pertinenti, come il volume dell’attività commerciale, le capacità di produzione o di commercializzazione o il grado di diversificazione dell’impresa che sfrutta il marchio nonché le caratteristiche dei prodotti o dei servizi nel mercato di riferimento”, elementi, questi, che sono stati ritenuti provati nella fattispecie concreta.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente, titolare del marchio comunitario successivo rispetto a quello nazionale, eccepiva la violazione dell’articolo 8 paragrafo 1, lettera b), del Regolamento 2017/1001 il quale prevede che: “In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se: […] b) a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore”.

Più precisamente contestava la decisione assunta dalla Commissione ricorso nel punto in cui statuiva che tra i due marchi potesse esserci un rischio di confusione anche tra i consumatori più attenti.

Sul punto il Tribunale ha dilatato il perimetro della decisione della Commissione ricorso stabilendo che quest’ultima avrebbe errato nel concludere che i prodotti designati dai marchi in conflitto rientranti nella classe 3 (designata da entrambi i marchi) erano rivolti esclusivamente al grande pubblico, in quanto potevano essere destinati anche a quello dei professionisti.

Al riguardo, il Tribunale si sofferma sulla definizione del livello di attenzione da attribuire al pubblico di riferimento da valutarsi all’interno di un determinato gruppo di consumatori. Più precisamente, “si deve prendere in considerazione, all’interno di ciascun gruppo di consumatori identificato, il consumatore medio dei prodotti o dei servizi di cui trattasi, che si ritiene essere normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre parimenti tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare a seconda dei prodotti o dei servizi di cui trattasi […]”, inoltre, “per quanto concerne la valutazione del rischio di confusione, si deve prendere in esame la parte del pubblico di riferimento con il livello di attenzione meno elevato, salvo che tale parte non debba essere considerata insignificante”.

Pertanto, la Commissione ricorso sarebbe incorsa in un errore decisionale con riferimento alla definizione del livello di attenzione prestato dal pubblico di riferimento nella valutazione del rischio di confusione tra marchi, in quanto questo sarebbe dovuto essere rapportato non al livello di attenzione medio, ma a quello meno elevato, in quanto meno sensibile a cogliere le differenze tra i segni distintivi.

Tale decisione precisa, altresì, che la valutazione del rischio di confusione non può prescindere da un confronto e un’analisi tra i prodotti o servizi commercializzati, nonché tra i marchi stessi. Difatti nel confronto tra segni non si può trascurare la percezione sensoriale e personale del singolo consumatore e quest’ultimo deve comunque fondarsi sull’impressione complessiva suscitata dai marchi in conflitto, con riferimento soprattutto alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale, avendo presente che il consumatore medio tende a percepire il marchio come un tutt’uno, avendo a mente soltanto variazioni che possono qualificarsi rilevanti. Variazioni che evidentemente non possono essere considerate rilevanti nel caso del marchio “Tricopin” rispetto al marchio “Tricodin”, marchi da considerarsi confondibili in quanto differenziati esclusivamente da una consonante su otto.

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